Kodomo no Omocha: Escape from reality

Cap.2: Scappiamo insieme, Sana!


Il servizio fotografico stava per cominciare. Sana, nei camerini, aveva già addosso il vestito, molto grazioso, con cui avrebbe dovuto posare. Era viola scuro, di velluto, con la gonna lunga fino poco sopra il ginocchio, arricciata sul bordo, a riprendere il motivo del colletto, anch’esso arricciato; i capelli erano sciolti sulle spalle, e ai piedi portava un paio di scarpette bianche lucide, “modello bebè”.
Prese tra le mani il cappello di finta pelliccia bianca, ma prima di indossarlo diede un’occhiata alla sua immagine riflessa sullo specchio che aveva davanti: il suo sguardo s’incrociò con quello di una ragazza triste e malinconica. Ma quella non poteva essere lei! Quella non era Sana!
Sana era sempre stata una ragazza allegra e vivace… fin troppo vivace, una ragazza che contagiava gli altri con il suo ottimismo e la sua voglia di vivere. Aveva sempre creduto nell’avvenire, non aveva mai dubitato neppure per un istante dei suoi amici.
Ma ora tutto stava cambiando, attorno a lei. O era lei a cambiare? Se questo significava crescere, allora non voleva diventare grande: voleva restare sempre la bambina allegra che tutti avevano conosciuto e apprezzato sul set di “Kodomo no Omocha”… già, “Kodomo no Omocha”, “Giochi da bambini”… ormai, anche il titolo della trasmissione le andava stretto.
Diede un’occhiata ansiosa all’orologio appeso alla parete, e restò di stucco nel vedere che erano già le sei meno venti.
Venti minuti.
Venti minuti e sarebbero scoccate le sei.
Quanto sarebbe durato il servizio fotografico?
Sana cercò disperatamente di trovare il modo per far rientrare nei tempi sia questo che l’appuntamento con Akito, ma si accorse ben presto che era impossibile. Tanto più che aveva anche promesso un’intervista a certi giornalisti di una rivista piuttosto famosa…
Rei, quando gli aveva chiesto di rimandare gli impegni, era stato irremovibile. “È per il tuo futuro” aveva detto “Queste interviste sono troppo importanti.”
Sana si appoggiò al tavolino davanti allo specchio, colta da una vertigine.
Come poteva fare? Come?!
Dopo un attimo di smarrimento, però, riprese il controllo su se stessa: al diavolo lavoro e carriera! Erano forse più importanti del suo migliore amico?!
Presa la sua decisione, gettò sul tavolo il cappello di pelliccia, ma non si cambiò d’abito: non ce n’era il tempo.
Afferrò la giacca nera con cui era arrivata sul set, si legò i capelli in una coda di cavallo, nascondendola meglio che poteva, e indossò un paio di occhiali da sole a specchio.
Prima di uscire dal camerino, Sana si affacciò furtivamente nel corridoio, controllando che nessuno potesse vederla: in giro non c’era un’anima, erano tutti al set. Sana sentì solo rumore di passi piuttosto lontani e non se ne preoccupò. L’importante era fare in fretta.
Uscì nel corridoio e chiuse la porta dietro di sé.

Akito arrivò al parco camminando lentamente con le mani nelle tasche dei jeans e in testa un cappello con la visiera rossa e lo stemma dei “Chicago Bulls” ricamato davanti.
Diede un’occhiata distratta al suo orologio da polso: era un po’ in anticipo, ma aveva avuto fretta di presentarsi all’appuntamento. L’indomani a scuola avrebbe dovuto affrontare un compito in classe di scienze piuttosto complesso, e sapeva che il prof. Sengoku non avrebbe perso l’occasione di dargli una bella insufficienza, ma non gliene poteva importare di meno. Non aveva neanche aperto libro, preso com’era dall’appuntamento con Sana, e scosso dall’atteggiamento così strano e volubile della ragazza, prima triste, poi allegra, poi di nuovo triste…
E se Sana non fosse venuta?
Questo pensiero gli attraversò la mente all’improvviso, e lui si bloccò in mezzo alla stradina ghiaiosa che attraversava il parco.
Ma poi scosse la testa: se davvero Sana avesse considerato più importante un impegno di lavoro piuttosto che un incontro con il suo migliore amico… allora… allora avrebbe voluto dire che Sana non era più Sana, che in pochi mesi era diventata un’altra persona; se questo era effettivamente successo, probabilmente Akito avrebbe interrotto ogni rapporto con lei.
Ma non era possibile.
Era come dire che, da un giorno all’altro, potesse cadere dal cielo neve bollente.
Una folata di vento più freddo lo riscosse, e lo spinse a continuare la sua strada. In pochi minuti, si trovò davanti al piccolo gazebo di legno, proprio al centro del parco. Proprio in quel momento cominciarono a cadere alcune leggere gocce di pioggia autunnale.
Erano le sei in punto.
Sana non c’era.

Akito sospirò profondamente, ma non se ne andò: forse Sana aveva avuto qualche contrattempo, forse aveva trovato traffico.
Per ripararsi dalla pioggia che si faceva mano a mano più fitta, Akito entrò nel gazebo e si sedette sulla panchina, disponendosi ad aspettare.
Le sei e dieci.
Nessun segno di Sana.
Akito, guardando l’orologio, decise di attendere fino alle sei e venticinque: “Non di più.” pensò “Non di più.”
Le sei e venti.
Di Sana, nemmeno l’ombra.
Senza nemmeno volerlo, il ragazzo si mise a pregare mentalmente perché lei arrivasse. Ma era inutile. E la pioggia stava intensificandosi a vista d’occhio: tra poco sarebbe scoppiato un bel temporale.
Le sei e venticinque.
Akito sospirò ancora, si alzò dalla panchina e diede ancora un’occhiata intorno, ma non vide nessuno, né sentì nulla, a parte lo scrosciare delle gocce, che ormai formavano una cortina grigia.
Uscì dal gazebo e si diresse velocemente verso la strada da cui era venuto, ma una voce lo trattenne: “Akito! Akito, aspetta!”
Non credendo alle proprie orecchie, il ragazzo si bloccò sotto la pioggia, e si voltò.
Una figurina esile e confusa veniva correndo verso di lui, sollevando da terra schizzi d’acqua. Akito avrebbe potuto riconoscere quella voce e quella sagoma tra mille altre.
La figurina si avvicinò, si fece più nitida, e infine si fermò dinnanzi al ragazzo.
- Sana… - mormorò lui.
Era letteralmente fradicia: i capelli, sfuggiti alla coda, erano incollati al viso bagnato, la giacca nera era lucida di pioggia, la gonna viola gocciolava ai bordi ormai non più arricciati, ma afflosciati. Le eleganti scarpette bianche erano tutte infangate.
- Scusami, scusami tanto, sono in ritardo! – esclamò ansando per la corsa – Ma, vedi, ho fatto la strada a piedi dagli studi, e allora…
Akito le si avvicinò e, sollevando la sua giacca bianca e rossa, che era impermeabile, le coprì la testa bagnata.
- Vieni – le disse – prima mettiamoci al riparo, poi mi dirai tutto.

- Quindi il tuo manager non voleva che tu saltassi il servizio fotografico e le interviste? – domandò Akito sgranando gli occhi – Ma gli hai detto che era importante per te?
Sana annuì col capo, gli occhi bassi – Abbiamo praticamente litigato in macchina. Non mi era mai capitato… Rei è sempre così carino con me…
Akito rimase in silenzio un lungo istante, poi osservò: - Stai tremando. Forse sarebbe meglio che ti accompagnassi a casa mia, che è qui vicino.
- Neanche per sogno! – esclamò lei alzando gli occhi d’un tratto – Ho fatto una fatica per venire a questo appuntamento, non lo sprecherò in questo modo!
Akito, dapprima sembrò sorpreso, poi sorrise e la prese tra le braccia – Sono anch’io un po’ bagnato – disse in tono di scusa – però sempre meno di te. Ti farò da borsa dell’acqua calda.
Sana, col viso appoggiato al petto del ragazzo, si lasciò sfuggire una risatina, poi si rilassò: non era la prima volta che Akito le riservava di queste attenzioni, ma le facevano sempre tanto piacere, anche perché era consapevole di avere l’assoluta esclusiva. A parte il rispetto nei confronti di Fuka, Akito non aveva mai provato niente di particolare per nessun’altra ragazza.
- Allora – mormorò Akito senza lasciarla – mi vuoi dire qual è il problema? Ieri sera, quando ti sei messa a piangere al telefono, mi hai spaventato.
- Sì, lo so, mi dispiace… è che ero in una fase di depressione acuta… ma, hai notato? Mi è bastato rivederti per risollevarmi il morale.
- Beh, sono contento di farti questo effetto, però non mi basta sapere che per il momento il tuo morale si è risollevato. Io voglio che tu sia felice sempre. – Sana sentì le braccia di lui stringersi ancora di più – Hai capito? Non sei mai stata soggetta a momenti di depressione acuta… certo, ci si può sentire soli, a volte, ma tu non sei mai scoppiata a piangere così… io voglio che ritorni a essere come prima.
Vi fu un momento di silenzio: Sana non sapeva davvero come affrontare l’argomento. E poi, a cosa sarebbe servito parlargliene? Lui di certo non poteva farci nulla.
Poi però, lasciandosi trasportare dolcemente dal calore del corpo di lui, la lingua le si sciolse completamente: non voleva tenerlo all’oscuro di tutto, sarebbe stato crudele. Come dirgli che non si fidava di lui.
- Io… in questo periodo mi sento tanto sola – cominciò – Terribilmente sola. Non tengo più molto al mio lavoro, eppure vado avanti lo stesso perché mi sento in dovere di farlo. Mi capisci? Io ho paura di deludere tutti ritirandomi. Da piccola era divertente, perché per me era tutto un gioco. Non prendevo nulla sul serio. Poi però tutto è cambiato. In realtà, non vorrei nemmeno rifiutare completamente il mondo dello spettacolo. Vorrei soltanto… staccare la spina per un po’, non vedere più nessuno, né Rei, né i vari registi e produttori. Solo per un po’. Andrei a scuola, vedrei i miei amici, condurrei una vita normale. Purtroppo non posso farlo, perché ho dei contratti firmati, e poi Rei ci tiene così tanto…
Akito non rispose, ma strinse ancora di più Sana.
Lei alzò lo sguardo per guardarlo negli occhi, e con una fitta di dolore vide la sua espressione tanto triste da sembrare che il ragazzo fosse prossimo alle lacrime.
- Akito! – esclamò Sana. Lui distolse lo sguardo, nel tentativo di riprendere il controllo sulle proprie emozioni, ma la ragazza gli prese il viso tra le mani costringendolo a guardarla negli occhi – Akito, non è solo per me che stai male, vero? Non è solo per me!
Lui ricambiò il suo sguardo pieno di dolorosa sorpresa con uno sguardo di angoscia penetrante, distruttiva. Poi, all’improvviso, la strinse di nuovo, come cercando conforto nel calore di lei, e le fece appoggiare la testa nell’incavo della sua spalla, con una dolcezza protettiva che non era nuova per Sana, ma accompagnata da una disperazione quasi tangibile.
Sana, ricambiando l’abbraccio, sentì la sua voce nelle orecchie, un sussurro quasi impercettibile:

- Scappiamo insieme, Sana!



CONTINUA….