Kodomo no Omocha: Escape from reality

SANA KURATA (Rossana)
MISAKO KURATA (madre)
REI SAGAMI (Robbie)

HAYAMA AKITO (Heric)
HAYAMA FUYUKI (padre)
HAYAMA NATSUMI (sorella)

TSUYOSHI OHKI / SASAKI (Terence)
NAOZUMI KAMURA (Charles)
FUKA MATSUI (Funny)
AYA (Melissa)

Cap.1: Due vite parallele

Le luci della casa erano tutte spente, ma da fuori si intravedeva la luce cangiante del televisore acceso che si rifletteva sul vetro della finestra del salotto. Qualcuno, nonostante l’ora tarda e il buio fitto che ormai copriva la città, era ancora sveglio.
Forse suo padre? O sua sorella?
Akito sospirò e estrasse dalla tasca le chiavi del cancello.
Entrando in casa cercò di fare meno rumore possibile: se era suo padre in salotto non c’erano problemi, ma se invece era Natsumi… i problemi c’erano, eccome. Lui voleva solo andarsene a letto a dormire: una litigata a quell’ora non gli andava proprio. Tanto più che aveva avuto una pessima giornata.
Purtroppo, le sue speranze di passare indenne davanti alla porta aperta del salotto si infransero quando sentì la voce della sorella, che lo fece sussultare – Il figliol prodigo è tornato!
Akito recuperò la solita aria menefreghista e si preparò ad affrontare Natsumi. Si fermò sulla soglia e la guardò dritto negli occhi. Lei spense il televisore, e improvvisamente il buio e il silenzio, questa volta completi, invasero la casa. Akito si sforzò di afferrare i lineamenti della ragazza anche in quell’oscurità.
- A quanto pare, sembra che anch’io possa andare a dormire – continuò lei in tono sarcastico – perché finalmente il signorino si è degnato di farsi vivo.
- Sei rimasta sveglia ad aspettarmi? – chiese lui in tono neutro.
- Voleva farlo papà, ma era ritornato tardi dal lavoro, e farlo restare in piedi ad attendere i tuoi comodi mi sembrava una crudeltà. – gettò il telecomando sul divano e si avviò verso la porta che dava sul corridoio spingendo volutamente da parte il fratello.
Lui non rispose all’offesa, ma prima che la sorella entrasse in camera sua le mormorò – Potevate farne a meno, tu e papà, per quello che vi importa.
Natsumi rimase di stucco a fissarlo per qualche istante, con la maniglia della porta in mano; Akito non riuscì a cogliere la sua espressione, ma conosceva troppo bene la sorella per non sapere che quest’ultima frase l’aveva irritata non poco. Infatti, subito dopo lei gli si avvicinò e gli mollò uno schiaffo in pieno volto, che Akito incassò senza un gemito.
- Di me puoi dire quello che ti pare – sibilò lei abbassando ancora di più la voce – ma non coinvolgere papà nei tuoi discorsi egoisti, mi hai capito, demonio? Non tollererò un’altra impudenza del genere. La prossima volta non te la caverai con un solo ceffone.
Detto questo aprì la porta di camera sua e sparì dietro di essa.
Akito rimase qualche secondo immobile, poi si diresse come un automa verso le scale che portavano al piano superiore, le salì gradino per gradino, come se ognuno di essi gli costasse uno sforzo enorme.
Non poteva sapere, quella stupida, che era proprio per causa loro che era rientrato così tardi. Non immaginava neanche lontanamente che, pur di non vedere lei e il padre, aveva girovagato delle ore da solo per le strade buie e semideserte.
No, non lo immaginava. Non sapeva niente di lui. Assolutamente niente.

Sana si svegliò di buon umore, si lavò e fischiettando indossò la graziosa uniforme degli studenti delle medie. Poi gettò un’occhiata alla strana sveglia che teneva sul tavolino e urlò - Oh, no, è tardissimo!!!
Si precipitò in corridoio e chiamò a squarciagola – REIIIIII!!!! REEEEEEIIIIII!!!!
- Che c’è, Sana? Perché gridi in questo modo? – rispose lui affacciandosi assonnato dalla sua camera. Era ancora in pigiama.
- Rei! Non sei ancora pronto?! È tardissimo! Perderò la prima ora!
- La prima ora? – fece lui stupito – Ma guarda che oggi non vai a scuola!
- Ma… come? Non mi avevi detto che oggi avrei avuto impegni di lavoro!
- Oh, scusami, sono davvero imbranato! Mi sono dimenticato di dirtelo. Oggi dobbiamo girare un paio di spot pubblicitari. Saremo agli studi per le nove, quindi hai ancora tempo, puoi fare con calma a prepararti.
- Ah… – si arrese Sana delusa – Va… va bene.
Ritornò in camera sua e, chiudendosi la porta alle spalle, si appoggiò contro di essa. Sospirò profondamente. Era stata così contenta di poter rivedere i suoi amici… Fuka, Tsuyoshi, Aya… Akito.
Pensando a lui, sentì un doloroso groppo alla gola e deglutì per cercare di eliminarlo. Le sembrava sciocco piangere perché non poteva andare a scuola. Molti ragazzi nella sua condizione avrebbero fatto i salti di gioia.
Solo che… era ormai tanto tempo che non rivedeva i suoi compagni…
La scuola era l’unico posto in cui aveva ancora possibilità di incontrarli, per il resto la sua vita era scandita solo da programmi televisivi, spot pubblicitari, servizi fotografici. Sentiva che il suo legame con ognuno dei suoi amici si stava allentando in maniera inesorabile.
Da quanto tempo non vedeva Akito? Sussultò rendendosi conto che era più di un mese. Le lacrime cominciarono a sgorgarle copiose dagli occhi, e lei non poté più fare nulla per arginarle.
Si sentiva così sola.
Così sola…

Avevano appena finito di cenare quando il telefono iniziò a squillare in casa Hayama. Natsumi gettò l’asciugamano sul bancone vicino al lavello e corse a rispondere. Akito, con una pila di piatti sporchi in mano, la guardò schizzare verso l’apparecchio, e sbuffò: si vedeva lontano un miglio che sua sorella aspettava una telefonata da qualcuno di ben preciso, chissà, forse quel bellimbusto biondo che gli aveva presentato qualche giorno prima.
Stava appoggiando i piatti sul fondo del lavello per lavarli quando gli giunse la voce di Natsumi dal corridoio: - Akito!
Vedendolo arrivare, gli allungò la cornetta con un secco – È per te. – e se ne andò.
- Pronto? – disse lui nella cornetta.
Dall’altra parte vi fu un momento di silenzio.
Akito, interdetto, ripeté – Pronto?
- Oh, sì, scusa, Akito… - fece una voce familiare – Sono Sana.
- Ciao Sana. Ci sono problemi?
- No, no! – si affrettò a negare lei – Nessun problema.
- Meglio così. Cosa volevi dirmi?
Sana rimase un po’ delusa dalla freddezza del ragazzo, tuttavia riprese – Beh, non è che avessi qualcosa di particolare da dirti… semplicemente volevo parlarti. È da più di un mese che non ci vediamo…
Akito, dall’altra parte del filo, sembrò riflettere qualche istante – È vero. – disse infine – Ma non mi va di parlarti al telefono. Non puoi venire a scuola, domani?
- No, mi spiace. Ho uno spot da girare, domani mattina, e domani pomeriggio un’altra puntata di quel nuovo telefilm che stanno pubblicizzando in questo periodo.
- È sempre stato questo il nostro problema, vero?
- Come?
- Niente. Se non puoi proprio liberarti io non so come potremmo incontrarci. Ora scusa, ma devo aiutare mia sorella a rimettere a posto la cucina.
- No, Akito! Aspetta… per favore.
- Cosa c’è? – possibile che non capisse che non voleva approfondire nessun argomento al telefono? In quel modo Natsumi lo avrebbe sentito, qualunque cosa avesse detto.
Il fastidio per l’insistenza dell’amica svanì in un attimo appena sentì dei singhiozzi sommessi dall’altra parte del filo.
- Sana! – esclamò – Sana, scusa, io…
- No, non è per te… - mormorò lei cercando coraggiosamente di soffocare il pianto – non è per te.
- Allora cosa…
- Akito, ho bisogno di vederti. Davvero, ne ho tanto bisogno. Ti prego.
- Va bene. – acconsentì lui, sollevato dal fatto di non essere la causa del pianto di Sana – Ormai è tardi, ma verrò a casa tua ugualmente, se lo vuoi. Tua madre sa che mi stai invitando a quest’ora?
- No, ma vedrai che per lei non sarà un problema. Sta… - vi fu un leggero risolino, che spezzò la tensione – sta rifiutando un prestito all’ex marito.
- Allora sto arrivando.
Akito mise giù la cornetta e afferrò la sua giacca di pelle appesa vicino all’entrata, indossando velocemente le scarpe da tennis un po’ logore.
Quando aprì la porta per uscire, la voce di suo padre lo trattenne – Dove stai andando, Akito?
Il ragazzo non si voltò verso di lui, ma rispose seccamente – A prendere una boccata d’aria. Non aspettatemi, non ce n’è alcun bisogno. – e chiuse la porta uscendo nella sera.

Qualcuno bussò, e la governante di casa Kurata andò ad aprire, trovandosi di fronte Akito, che con la solita voce incolore che assumeva parlando con persone che non conosceva bene, disse – Buonasera. Dovrei parlare con Sana.
- Sì, lo so – rispose lei, sorridendo indulgente – me l’ha detto. Ti sta aspettando in camera sua.
Percorrendo il corridoio, Akito sentì delle voci in sala: “Oh, ti prego, Misako! Cosa vuoi che siano pochi yen per una scrittrice brava e famosa come te?…” “No, no e no. È inutile, puoi chiedermeli anche un milione di volte, non otterrai alcun risultato.” “E se te li chiedo un milione e una volta?”
Akito si lasciò sfuggire un sorriso divertito, poi però recuperò la solita espressione da duro e si preparò ad affrontare Sana.
Bussò alla porta ed entrò: Sana era seduta sul suo letto a gambe incrociate, indossava una maglietta candida, dei jeans stretti lunghi fino al polpaccio, e aveva i capelli bruni raccolti in due code ai lati del viso, trattenute da grandi elastici bianchi di velluto. Akito rimase un secondo bloccato sulla soglia: perché gli sembrava che Sana risplendesse di luce propria? Con quegli abiti semplici, nella semioscurità della camera, sembrava irradiare una dolce luminosità che avvolgeva ogni cosa.
- Oh, scusa! – esclamò lei premendo un interruttore sul comodino a lato del letto: la semioscurità lasciò il posto alla luce elettrica – Non ho acceso la luce. Non lo faccio quasi mai quando sono da sola. Vieni, accomodati! Siediti qui vicino a me: sulla sedia è più scomodo che sul letto.
Akito obbedì, un po’ imbarazzato… e anche un po’ deluso: avrebbe voluto che Sana lasciasse la semioscurità, per mantenere l’incantesimo. Ma forse era stato meglio così, pensò poi rendendosi conto del significato che poteva avere quella cosa. Le sue guance si tinsero per qualche secondo di rosso, ma riuscì a riprendere quasi subito il controllo di se stesso.
- Guarda cosa c’è sulla scrivania! – esclamò lei saltando giù dal letto, avvicinandosi al tavolo e prendendo tra le mani un vassoio rotondo – TADAAAANNNN!!! Pasticcini fatti in casa! Ti consiglio di accaparrartene subito uno, perché tra poco saranno tutti spariti come per magia!
Akito la guardò: sembrava la stessa Sana di sempre, con un gran sorriso sulle labbra e l’allegria sprizzante da tutti i pori. Possibile che, solo un quarto d’ora prima, fosse la ragazza in lacrime al telefono? Comunque il ragazzo si trattenne dal fare domande: forse lei non voleva affrontare subito il problema. Prese dal vassoio che gli veniva porto un pasticcino alla cioccolata dicendo – Grazie. Ma non far sparire tutti gli altri nella tua pancia, altrimenti diventi più grossa di una balena.
Immancabilmente, Sana gli diede una bella “supermartellata” sulla testa, con il martellone rosso tirato fuori da chissà dove.
A parte questo piccolo incidente di percorso, poi tutto filò liscio. Mentre, seduti sul letto l’uno di fronte all’altra, con in mezzo il vassoio, mangiavano i pasticcini fatti in casa, Sana si fece raccontare da Akito tutto ciò che era successo a scuola in quelle ultime settimane. Vedendola così ansiosa di essere aggiornata sulle novità, lui cercò di non tralasciare nessun particolare e fece un grosso sforzo di memoria per riportare alla mente tutto, ma proprio tutto ciò che fosse stato degno di nota. Sana lo ricompensava della fatica con dei sorrisoni a… 300 denti, battute e risate fragorose. La cosa che la faceva sbellicare di più era la descrizione delle esagerate reazioni di “rabbia omicida” che trasformavano il timido Tsuyoshi in una specie di Superman infuriato.
Si rabbuiò un po’ solo quando Akito toccò l’argomento “prof. Sengoku”.
- Ce l’ha ancora con te, quel fissato? Non ci posso credere! – non si poté trattenere dall’esclamare la ragazza.
- Ebbene sì. Purtroppo la mia “fedina penale” risalente alle elementari mi crea ancora parecchi problemi, soprattutto con lui.
- Ti considera un mezzo delinquente.
- Senza “mezzo”.
- Già.
Dopo un secondo di silenzio, entrambi ridacchiarono all’unisono, poi esplosero un una grossa risata. A qualcuno che non li conoscesse bene questa parrebbe una cosa ben strana, ma bisogna sapere che cosa stesse passando nella mente di tutt’e due nello stesso istante: il racconto precedente sulla reazione di “rabbia omicida” di Tsuyoshi nei confronti di Akito, tranquillamente addormentato sul banco mentre il prof. Sengoku si avvicina minaccioso.
- Bisognerebbe portare una telecamera a scuola – constatò Sana cercando di calmare le risa – e riprendere tutte queste scenette! Mi piacerebbe tanto poterle vedere, qui a casa!
- Perché invece non ci vieni, a scuola? – chiese Akito con un’espressione improvvisamente seria.
Sana si oscurò tutto d’un tratto, e abbassò lo sguardo.
- Non posso.
- Perché non puoi?
- Lo sai benissimo.
- No, non lo so. Non vedo nessuna buona ragione perché tu debba saltare tanti giorni di scuola.
- Il mio lavoro! – esclamò infine la ragazza, esasperata.
- Già, il tuo lavoro. Non è tra le motivazioni che io ritengo valide.
- Ma come?!
- Sana, secondo me per ora è più importante che tu continui gli studi, piuttosto che dedicare tutto questo tempo al lavoro. Pensa a tutte le volte che hai dovuto studiare notti intere e recuperare settimane di lezioni in due o tre giorni. Non mi sembra logico.
- Dici bene, tu. – mormorò lei quasi singhiozzando – Ma io ho degli obblighi, sai? Ho i contratti firmati, e ho i miei fans.
- Ma se tutto questo ti fa soffrire tanto…
- No, no, stai zitto! – esclamò lei scuotendo la testa e turandosi le orecchie con le mani – Non voglio sentire niente. Niente!
Akito si chiuse in un offeso silenzio per qualche secondo, poi chiese – Se non vuoi il mio parere, allora perché mi hai chiamato? Perché tutta questa urgenza di parlarmi?
Sana si decise finalmente a guardarlo di nuovo negli occhi, ma non vi trovò nulla che potesse incoraggiarla a confessargli la verità. Akito era ridiventato il ragazzo freddo e chiuso in se stesso che tutti conoscevano.
- Beh, perché volevo sentire come andava a scuola. – mentì cercando di mettere in quella bugia tutta l’esperienza di chi è abituato a fingere. Tuttavia la sua voce tremò sulle parole.
- Oh, che nobile intento! – esclamò sarcasticamente Akito, sempre più offeso, scendendo dal letto e avviandosi alla porta – La prossima volta però chiama Fuka, penso che lei sia più informata di me sui pettegolezzi scolastici.
- Stupido! – gli gridò dietro Sana cominciando a piangere a dirotto, mentre già Akito apriva la porta per andarsene – Stupido, stupido, stupido! Non hai capito niente!
Akito si bloccò sulla soglia, sembrò riflettere un attimo, poi si voltò e le disse: - Sana, se stai facendo l’attrice anche con me ti prego di smetterla, perché il tuo comportamento mi risulta alquanto ambiguo. Ma se è questo ambiente a spingerti a dire bugie per vergogna, allora domani fatti trovare al gazebo del parco alle sei, lavoro o non lavoro. – detto questo, uscì chiudendo la porta dietro di sé. I suoi passi si persero in lontananza nel corridoio.



CONTINUA….