VIAGGIO DI UN POETA




Ieri Gyokuran è morto… se n’è andato in silenzio durante la notte, lo stavo vegliando quando l’elettrocardiogramma ha cominciato a sobbalzare istericamente, ho subito avvertito il pericolo, ho sentito il sudore gelato che mi copriva la fronte con un velo, non era agitazione, era paura, terrore, d’un tratto mi ricordai delle mie prime esperienze da medico, di quei pazienti che avevo assistito e delle vite che scivolavano via, trasportate dal vento, in un lampo mi ricordai di tutte le leggende e le fiabe che mi raccontava la mia nonna quando ero ancora bambino,

<< quando Sarjarim decide di prendere accanto a se’ l’anima di un nostro amico invia su Sia due bellissimi spiriti argentati, questi spiriti hanno il viso coperto da una maschera bianca, una sorridente e l’altra triste e malinconica queste due essenze prendono l'anima e la portano davanti all’altare dorato di Sarjarim… lo sai, loro sono due importanti stelle della nostra galassia Marets e Firaok loro scendono sul pianeta per portare le anime dalla nostra dea poi tornano nel cielo… >>

guardai il viso di Gyokuran, era sempre più pallido, l’unica cosa che manteneva colore umano erano i suoi capelli biondo oro. Presto le convulsioni cessarono e Gyokuran riprese la sua stabilità, mi risedetti accanto al letto e disperatamente presi la testa tra le mani… piangere non serve a nulla, avevo fatto ciò che potevo contro un virus che non conoscevo minimamente, nessun libro di medicina lo nominava, nessuno aveva mai contratto una malattia con sintomi tanto particolare, non esisteva nessun vaccino e nemmeno il nostro defunto pianeta ci sarebbe stato d’aiuto…

tentando di riprendere lucidità andai a lavarmi il viso, presi l’acqua gelata a due mani, anche lei sembrava voler scappare, proprio come la vita di Gyokuran, era uno stupido complesso il mio, fin da quando ero piccolo desideravo fermare ciò che di solito fugge, imprigionare l’aria con le mani, mantenere l’acqua con le dita aperte, sapevo per principio che non era possibile a desideravo ardentemente bloccare in un qualche modo ciò che non sta mai fermo, ciò che fugge. Lentamente quel mio pensiero bambino ed infantile maturò fino a diventare passione per la medicina, sapevo che la vita corre, fugge a qualunque norma ma quando comincia ad andarsene, quando comincia a chiedere di finire allora la si può bloccare, la si può fermare ed impedire che se ne vada. Così capii che non era possibile fermare lo scorrere del tempo solo fermando le lancette di un orologio o che non si riuscirà mai ad impedire alla pioggia di scendere, ma si poteva fare di più… era possibile riportare alla vita organismi che oramai avevano nella pelle e nelle ossa la stanchezza, scoprii che era possibile salvare delle vite solo con l’aiuto di erbe e che la vita scappa, non scappa da te, al contrario, tu fuggi con lei, ed è una fuga che dura fino alla fine… forse non ci avevo mai pensato perché la mia vita non fuggiva, io me ne rimanevo immobile nella mia grande casa in riva al mare, dove non si poteva giocare per la paura di rompere un vetro o uno specchio, dove non si potevano esprimere le proprie idee senza scontrarsi con i miei genitori, dove arcigni e severi professori mi insegnavano le lingue, la matematica, la filosofia e mille altre materie umanistiche, quando io nella mia testa avevo già deciso di diventare un medico… con come unico amico il mio pianoforte a coda nero, i suoi tasti e le sue splendide note.

la macchina che aiutava Gyokuran a mantenere vivo il suo flebile e faticoso respiro palpitava al posto del suo cuore, guardandolo steso su quel letto in attesa che Marets e Firaok lo portassero da Sarjarim mi venne quasi voglia di staccare la macchina e lasciarlo morire in pace, senza agonizzare sul suo corpo. Ecco, solo il suo corpo era ancora in vita, la sua anima se ne era già andata…

nella stanza aleggiava aria pesantissima, fuori sentivo in passi di Enjyu che andava avanti e indietro per il corridoio, anche lei era consapevole che la fine di Gyokuran era vicina eppure come me non si voleva arrendere, a per motivi diversi, Enjyu avrebbe voluto vivere in eterno con lui, ora che potevano esser felici, io perché ero un fallimento…

<< un medico non si può lasciar andare davanti alle proprie emozioni >> il mio professore me lo diceva sempre, io lo consideravo come una massima insegnatami dal mio maestro, lui credeva in me, gli bastarono poche lezioni, poi un giorno mi guardò in faccia e mi disse

<< tu sarai un grande medico… puoi giurarci >> se mi avesse visto ora non penso che avrebbe pensato lo stesso.

La stanza era buia, solo una fioca lampada elettrica diffondeva un po’ di luce, in quel chiarore il viso del mio amico sembrava brillare di una luce evanescente, sembrava che la sua anima ormai tanto debole riuscisse ad emanare lucentezza e spedire messaggi… sorridendo mi chiesi stupidamente se per caso poteva ancora lanciare messaggi telepatici ad Enjyu poi scossi la testa e i resi conto della sciocchezza che avevo appena pensato, mi alzai ed uscii nel corridoio per andare dalla ragazza, offrirle un tè e mescolarci una piccola dose di sonnifero e farla dormire tranquilla.

Gyokuran se ne andò qualche ora dopo, in silenzio, senza lasciare traccia in quella stanza a parte il suo cadavere bianco steso tra le coperte, fuori sapevo che mi aspettava affrontare uno dei compiti più ingrati della vita di un medico, il mio cuore si disperava, la mia anima piangeva ed anche la mia mente, ma il mio viso rimaneva impassibile, un dottore non si può permettere le lacrime… coprii il viso di Gyokuran con il lenzuolo poi uscii in silenzio per andare a cercare Hiragi, davanti alla porta trovai Enjyu già sveglia il suo sguardo triste ed i suoi occhi imploranti che parlavano per lei << sta bene, è sempre stabile >> …già, un medico deve mantenere la compostezza, deve controllare le proprie emozioni e reprimerle per lasciare spazio solo alla freddezza nel momento in cui ce ne fosse stato bisogno, ma se questa regola valesse anche davanti agli occhi tristi di un’amica e dietro al cadavere di un tuo compagno non lo avrei mai saputo, decisi io, sul momento che non le dovevo mentire, decisi di sorriderle e di dirle tutta la verità senza una lacrima poi capii che tutte le promesse che mi ero fatto non erano altro che una bugia a me stesso e che anche a lei avrei mentito sorridendo… nemmeno questo fu vero una lacrima mi solcava il viso, una sola ma era una lacrima di dolore, di solitudine e infinita tristezza, in quella era racchiuso tutto il tempo passato insieme a Gyokuran, dentro quella goccia di pianto era chiusa la mia tristezza, il giorno in cui forai l’orecchio di Gyokuran, le risate di Enjyu, prendere il tè alla mattina insieme a Mokuren, le frequenti liti di Shion e Gyokuran, le ramanzine del capitano e le crisi di isterismo di Shyusuran, i calmanti iniettati di sorpresa e le bustine di sonnifero sciolte nella sua tisana, la serra sempre verde, i canti di Mokuren, tanto armonici e melodiosi da destare l’anima delle piante, da parlare al loro cuore, la base inondata di altissime arbusti, Shion ed il suo comportamento sovversivo, "il popolo errante", i deliziosi pranzetti di Enjyu, i digestivi per quando cucinava Shyusuran, la terra, la sua vita… in quel momento compresi che tutto da un giorno all’altro sarebbe cambiato, quella lacrima che stava scendendo sulla mia guancia mentre raggiungevo Hiragi era il ricordo della base ZKK-101, il ricordo di una missione, forse il ricordo della mia intera esistenza, ma una memoria che sarebbe svanita, evaporata nell’aria, più leggera dell’aria oppure assorbita dal terreno, in quell’istante di inconscia pazzia desiderai che la mia lacrima e tutto quello che in se’ racchiudeva diventasse vapore, diventasse leggera, leggera… e volasse via dall’aria di quella luna a noi così ostile, e volasse sulla terra e diventasse aria, e su quel pianeta che rappresentava la salvezza spargesse tutti i ricordi di una vita, cosicché nulla venisse dimenticato…



FINE