NON CALPESTATE I FIORI NEL DESERTO




<< non mi devi ringraziare… >> sussurrai avvicinandomi al suo orecchio, non rispose, ma vidi chela sua bocca accennava un sorriso…

Gli sorrisi sforzandomi di non mostrare la mia debolezza

<< riposare ti ha fatto bene… hai ripreso colore >> dissi scostandogli una ciocca di capelli dorati che ricadeva sulla fronte, sulle palpebre chiuse, strette per lo sforzo che gli provocava parlare…

E non era più lui… non aveva più il suo sorriso da bambino troppo cresciuto, ingenuo, impacciato, dolce… gli occhi ridenti, la sua allegria erano scomparsi, come fuggiti da quella figura ferma sul letto… non riuscivo quasi più a riconoscerlo il mio Gyokuran… eppure lo amavo, e non avrei mai smesso di amarlo.

Quante volte avevo pregato che quel male prendesse me al posto suo… come ogni donna per il suo uomo malato, come ogni madre con il suo bambino… ma le preghiere spesso non servono, rimangono nel buio della tua stanza, rimbombano nelle pareti fino a che non trovano una fessura per scappare e, a quel punto, non arrivano certo dove vorresti tu, ma si perdono nell’aria… nell’atmosfera.

Se davvero Mokuren si trasformasse nell’aria della terra incontrerebbe tutte le mie preghiere e dentro ad ognuna di queste troverebbe Gyokuran… e un po’ della mia speranza che lentamente ho perduto, sciolta e divisa in piccole parti dentro tutte le mie preghiere, in loro riponevo la mia fede, e con loro quella se ne andava… perché io sono stata capace di perdere davvero tutto… anche la speranza.

Si dice sempre che i sentimenti più forti, i sentimenti che ti si attaccano dentro e non se ne vanno, i sentimenti che non ti lasciano respirare, mangiare, dormire, i sentimenti che non ti lasciano vivere sono proprio quelli per i quali soffri… e io lo amavo, più di ogni altra cosa nel mio piccolo universo, sopra ogni altra cosa ero sua e allo stesso modo lui non sarebbe mai stato mio…

E soffrivo per lui, ma era una sofferenza serena, qualcosa che mi appesantiva il cuore e allo stesso tempo lo rendeva leggero come la neve

Come la neve di Shia… quella che cadeva d’inverno, imbacuccati dentro pesanti cappotti che ci riparavano dal suo gelo, gli ombrelli bianchi, le giacche spruzzate di ghiaccio e acqua… mi mancava l’inverno, mi resi conto che il nostro pianeta scomparso non era mai stato dimenticato… alzai gli occhi guardando fuori dalla grande vetrata della stanza e mi ricordai il giorno in cui arrivammo su questo satellite desolato, il giorno in cui ci dividemmo le camere e Gyokuran scelse questa, con la grande vetrata dalla quale si vede lo spazio infinito, buio, per certi versi anche spaventoso e angosciante… solo più avanti, quando la nostra stella madre esplose, compresi che Gyokuran aveva scelto quella camera dalla grande vetrata che prendeva un’intera parete perché nel buio si vedeva un puntino luminoso, lontano lontano…

Shia, la terra dove eravamo nati e cresciuti, la terra che amavamo e che avevamo abbandonato per questa missione che si stava rivelando la nostra salvezza e la nostra condanna.

Guardai fuori e per un istante ebbi la sensazione, le ferma certezza, che fuori da quella finestra stesse scendendo la neve… ne percepii il freddo, la gioia, l’odore pungente, il candore… mi alzai in piedi di scatto rendendomi conto che era solo un illusione, che sulla Luna non poteva nevicare…

<< Enjyu… >> il flebile suono della voce di Gyokuran mi richiamò, mi voltai verso di lui spaesata << tutto a posto? >> socchiusi gli occhi e gli sorrisi

<< Gyokuran… ho visto la neve… >>


FINE